Oggi vi presento Tamara, che ha fatto del digitale uno strumento per unire ragazzi e genitori in un’epoca delicata come la nostra, in cui tutto va alla velocità della luce e viaggia nell’etere. Tamara ed io, pur vivendo vite molto diverse, ci siamo ritrovate ad avere tanti aspetti che ci accomunano, non ultima l’estrema sensibilità di carattere ed empatia verso gli altri.
- Cara Tamara, raccontaci qualcosa di te, chi sei e cosa fai?
Intanto grazie Chiara per aver pensato che la storia di una Digital Mamma potesse essere interessante per i tuoi lettori. Io sono mamma di due fanciulle di 11 e 14 anni con una grande curiosità per tutto quello che è digitale e innovazione. Una parte di me rimane comunque molto legata alle attività più tradizionali: mi piace scrivere a mano, sono una grande consumatrice di libri di carta (non amo gli ebook) e trascorrerei il tempo libero a fare fotografie o a sperimentare con i colori. Eppure questo mondo in continua evoluzione in cui siamo inseriti mi affascina, le opportunità che la Rete offre sono incredibili, guardo le mie figlie e penso che nulla potrà mettersi tra loro e la realizzazione dei loro sogni.
- Tamara, come è nata l’idea di dedicarti al digitale riferito ai giovani?
Le mie figlie mi hanno sempre sentito parlare di chat, app, social & co. ma mai avevano manifestato il desiderio di avere account loro. Anzi, ti dirò di più. Vedevano mamma e papà con uno smartphone in mano ma non hanno mai chiesto di usarlo. Per loro era un telefono, una cosa “da grandi”. Hanno avuto la fortuna di godersi la loro infanzia tra giochi, canzoni e cartoni animati… ma in DVD! Poi un giorno la più grande esordisce con: “Sai mamma che in classe mia tutti hanno Instagram?”. Gliel’ho fatto ripetere, ma ancora non ci credevo. Pensavo che sicuramente avesse capito male. Invece è bastato poco per appurare che il suo “tutti” (in realtà 6 o 7 compagni) aveva davvero un account Instagram e di conseguenza uno smartphone. Dov’è la stranezza? Lei all’epoca frequentava la quarta elementare e da quel giorno sono passati ben cinque anni! Oggi è la normalità vedere bambini di 9 anni con il proprio smartphone, cinque anni fa ne sono rimasta scioccata. I genitori sapevano cosa stavano dando in mano ai loro figli? No, non lo sapevano. La voglia di aiutare i genitori a capire un po’ di più questo mondo digitale nacque in quel momento, ma ho dovuto tentare tante strade diverse, cadere e rialzarmi non so quante volte prima di arrivare al punto in cui sono oggi. Oggi parlo e mi confronto con i genitori online e offline, è nata una peer education con la quale ci si aiuta a vicenda a capire e affrontare questa sfida educativa al tempo del digitale. Rispetto a cinque anni fa i genitori ci sono, vogliono capire e sentirsi in grado di seguire i figli. La strada è ancora lunga, ma camminare insieme rende tutto più semplice.
- Cosa si aspettano i ragazzi dal digitale? E i genitori?
Bella domanda. Io l’ho girata a mia figlia e sai che cosa mi ha risposto? “Non lo so… mi aspetto che funzioni!”. Sono poche parole ma ci dicono tutto. Noi adulti possiamo avere aspettative sulle nuove tecnologie perché sappiamo come si vive senza e siamo in grado di apprezzarne la comodità, la velocità, la possibilità di ampliare la rete dei nostri contatti e di avere accesso a un sapere illimitato.
I ragazzi ignorano le dinamiche e la tempistica di un sistema in prevalenza analogico, per loro il digitale è qualcosa di scontato, la Rete diventa un bisogno primario come l’aria e l’acqua potabile. “Deve funzionare…” perché serve a soddisfare i loro bisogni nell’immediato, in caso contrario parte del loro mondo va in crisi, le loro certezze vacillano.
- Può essere un buon punto di incontro fra genitori e figli a livello generazionale?
Potrebbe diventarlo, anzi sarebbe il punto di incontro ideale: da una parte abbiamo una generazione “nata con lo smartphone in mano”, abilissima ad apprendere il funzionamento dei device digitali, a scovare funzionalità nascoste attraverso il semplice apprendimento per tentativi o interrogando la Rete. Dall’altra ci siamo noi adulti con il nostro bagaglio di conoscenze ed esperienze, forgiati dalla vita quanto basta per aver sviluppato senso critico e capacità di discernimento che ancora mancano ai nostri figli.
Insieme ci completiamo. Mettiamoci al loro fianco consapevoli che abbiamo tanto da imparare gli uni dagli altri: noi prenderemo dimestichezza con le tecnologie mentre insegneremo loro che virtuale è reale; la buona educazione, il rispetto, la tolleranza che abbiamo insegnato loro nel mondo digitale sono importanti tanto quanto offline.
Non è un bellissimo modo per stare insieme e affrontare questa rivoluzione digitale?
- Secondo te il digitale colma un vuoto emozionale dei tempi moderni? Siamo tutti di corsa e spesso ci affidiamo a cellulari, tablet… Alexa per intrattenere i nostri figli mentre noi ci dedichiamo ad altro…
Nessun dispositivo potrà mai sostituire la relazione, il dialogo, il confronto tra genitori e figli e, in generale, tra le persone.
Io sono stata strafortunata. Quando le mie figlie erano in fasce lo smartphone non esisteva. Le ho allattate guardando ogni centimetro del loro corpicino, addormentandomi per la stanchezza delle notti insonni, canticchiando ninna nanne. I loro primi anni sono trascorsi all’insegna dei giochi sul pavimento, delle canzoni – per bambini! – gridate, stonate, storpiate, di balli improvvisati e lunghi pomeriggi al parco senza la paura di macchiarsi i vestitini. Insieme abbiamo fatto di tutto e costruito ricordi bellissimi. Certo, anche qui il cellulare è entrato nelle loro vite, loro sono cresciute e le attività da fare insieme sono altre. Ma è importante farle! Alcuni genitori mi raccontano che comunicano con i figli via WhatsApp. Non esiste! Ci si parla guardandosi negli occhi, anche scontrandosi se è necessario, perché la dimensione umana è fondamentale. Sono favorevole al digitale che accorcia le distanze ma solo se il vedersi e il parlarsi di persona non è possibile. Pensiamo ai nonni che abitano lontano dai loro adorati nipotini: il digitale oggi consente di vederli crescere e interagire con loro in tempo reale. Il digitale non colma un vuoto emozionale ma sicuramente aiuta a tollerare certe situazioni.
- Che fine ha fatto in tutto ciò la cara vecchia empatia? In che modo i ragazzi di oggi si mettono nei panni dell’altro?
Si dice sempre che la mancanza di fisicità a cui ci costringe il digitale sia la causa di una mancanza di empatia verso l’altro. Ciò può essere vero e considerato come una delle cause della violenza in rete. Tuttavia io ho sotto gli occhi le reazioni di mia figlia che davanti all’amica che viene derisa attraverso messaggi in chat si fa dare il nome del “bullo” e lo affronta a sua volta in chat. Forse manca la fisicità ma loro vivono il digitale, sanno come ci si sente e non fanno fatica a entrare in empatia con l’amica ferita. Che l’empatia continui a essere una caratteristica peculiare della persona indipendentemente dallo strumento che usiamo per relazionarci? Io credo proprio di sì, credo che l’empatia non abbia nulla da temere dal digitale, chi sa calarsi nei panni dell’altro lo fa anche davanti a un messaggio in chat o a un post.
- E gli animali cosa rappresentano per loro in questo mondo digitale? Il prendersi cura ha ancora un senso per loro?
Noi abbiamo due gatte e una cavalla – in casa mia è un tripudio di rosa! – e loro sono spesso l’occasione per fermarsi e guardare “l’altro”, ciò che è diverso da noi e merita rispetto, con cui bisogna imparare a relazionarsi per imparare a vivere insieme. Non è quello che accade anche tra persone?
Minù ed Emma sono due gatte rispettivamente di 8 e 4 anni, entrambe trovatelle, le abbiamo prese con noi che erano due esserini minuscoli di circa un mese. Io non ho mai avuto animali ma mi piaceva l’idea che le mie bambine, che allora avevano 5 e 3 anni, potessero crescere con la compagnia degli animali. Hanno dovuto imparare a rispettarle, a lasciar loro il giusto spazio, a riconoscere i loro segnali. Un anno fa è arrivata anche Rainbow nella nostra famiglia: una signora equina di 20 anni dal passato glorioso che ora si dedica volentieri ad attività meno impegnative con la mia figlia grande. È il nostro primo cavallo, abbiamo dovuto imparare tutti a relazionarci con lei, soprattutto io che non sono un’amazzone! Un cavallo ti dà tantissimo, ma la sua stazza è imponente. Meglio imparare da subito come relazionarsi, anche solo un nostro piede sotto il suo zoccolo son dolori!
Un giorno prestai particolare attenzione a come mia figlia si prendesse cura della sua cavalla, con quanta cura, dedizione, rispetto e sicurezza muoveva la spazzola sul suo manto, le puliva gli zoccoli, le intrecciava la criniera. Anche quello era un “touch”, un tocco, che faceva bene a entrambe. In quei momenti il cellulare non sfiorava nemmeno i suoi pensieri, abbandonato chissà dove per buona pace di chi la cercava.
Da qui l’idea: fare entrare l’educazione digitale in maneggio! Ho organizzato dei workshop destinati a genitori e figli, ma mentre i genitori erano invitati a prendere in mano il loro smartphone per parlare con me di digitale, i ragazzi partecipavano ad attività con i cavalli, li toccavano, li pulivano, ci salivano… e alla fine una bella merenda riuniva le due generazioni, tutti arricchiti dalla nuova esperienza.
Se vogliamo che i nostri figli guardino oltre lo schermo di uno smartphone dobbiamo offrire loro alternative, il mondo dei cavalli può essere una di queste ma ne possiamo trovare molte altre.
- In base alla tua esperienza (anche di mamma), che rapporto hanno i ragazzi di oggi con gli animali: come vivono e sentono la loro presenza?
Casa nostra non sarebbe “casa” senza le nostre gatte. Le mie figlie sono abituate a condividere letto, divano, vestiti con le sorelle pelose. Ogni tanto qualcuno si lamenta, le gatte non vogliono essere prese in braccio e strapazzate, le figlie si ritrovano quaderni mangiucchiati e vestiti pieni di peli. Ma guai a toccare queste due piccole trovatelle.
Ti racconto cosa è accaduto qui a settembre. Tornati dalle vacanze ci siamo accorti che Minù stava male. Non mangiava, non beveva, inizialmente faceva fatica a saltare sulle sedie come suo solito, poi all’improvviso non si reggeva nemmeno più sulle zampe. Il suo respiro era diventato affannoso, un tracollo nel giro di pochissime ore. A mezzanotte eravamo al pronto soccorso veterinario e lì è iniziato un calvario durato settimane durante le quali Minù non si riprendeva e io iniziavo a pensare al peggio.
Qui le attenzioni erano tutte per la povera creatura, tutto si è fermato: Minù doveva guarire! Non so dirti come, non di sicuro per i farmaci, dato che la causa di tutto non è mai stata chiara, ma Minù coccolata, amata, guardata a vista sempre da qualcuno di noi alla fine è rinata. È tornata la solita Signora Minù, ruffiana e dal carattere forte. E la nostra famiglia ha ritrovato la pace. Come vivono la loro presenza? Sono parte della famiglia, si lotta con loro e per loro. E quando uno di noi non sta bene le micie sono sempre lì vicine, non ci abbandonano mai. Uno per tutti e tutti per uno? Direi che rende bene l’idea!
Intervista rilasciata da Tamara Maggi (https://www.facebook.com/DigitalMamma/).