Chi mi segue da un po’ avrà capito quale sia la mia idea di vita condivisa con un animale, cane o gatto che sia: per me l’esigenza primaria da rispettare e garantire è rappresentata da libertà e fiducia, cercando di farlo nel massimo della sicurezza, ben sapendo che, come per le persone, non possiamo prevedere tutto, anzi… Quindi, personalmente, non potrei mai, per paure mie, limitare quelle che a mio parere (ma soprattutto in base a quanto letto e imparato da chi ha profonde conoscenze sull’etologia di questi splendidi animali) sono caratteristiche di una vita sana ed equilibrata, sia a livello fisico che psicologico.
Ciò non toglie che ci siano esempi di vite condivise ugualmente rispettose degli animali anche seguendo schemi un po’ diversi dai miei o da quelli a cui mi ispiro io. Credo che l’importante sia trovare un modo che permetta a umani e animali di essere sereni e non stressati.
Oggi vi presento Martina, una carissima amica (per ora solo virtuale, anche se ci scambiamo quotidianamente audio e messaggi) che vive in Svizzera, ma bolognese di origine e nel cuore. Martina ci racconta la storia della sua micia Moll.
- Martina, quando è nato il tuo amore per i gatti?
Sono cresciuta con i gatti: i miei nonni erano contadini e avevano un campo con tantissimi animali tra cui anche cani e gatti. Quando nascevano le cucciolate di gattini io passavo ore e ore ad osservarli. I miei genitori spesso mi lasciavano a casa da scuola proprio per permettermi di andare a trovare i miei nonni e vedere i gattini. Amo i gatti, li trovo animali bellissimi e affascinanti, potrei guardare un gatto per ore senza stancarmi mai. Trovo che nel loro sguardo, nel loro modo di muoversi, di leccarsi, di dormire ci sia qualcosa di incredibilmente magnetico. Sono animali a cui mi sento profondamente affine. Probabilmente in una vita precedente ero un gatto o forse lo sarò in una vita futura perché sono animali indipendenti, estremamente affettuosi, ma quando hanno voglia di starsene per i fatti loro te lo fanno capire molto chiaramente senza essere aggressivi, ti danno una zampatina senza unghie e tu capisci che vogliono essere lasciati in pace, un po’ come faccio io.
Quando sono andata a vivere con mio marito Enrico per tre anni non ne abbiamo avuti. Nonostante io facessi un pochino di pressing lui non se la sentiva perché era un po’ intimorito da loro. Ricordo una sera in cui eravamo andati a cena da amici che avevano tre gatti: guardavo quei gatti e sentivo un dolore fisico viscerale perché avevo bisogno di condividere la mia vita con un gatto. Enrico capì che era giunto il momento di dirmi di sì. Il nostro matrimonio era prossimo, così come il viaggio di nozze, un viaggio di un mese e mezzo. Io non me la sentivo di prendere un gatto cucciolino per poi lasciarlo solo un mese e mezzo, quindi abbiamo deciso di posticipare l’adozione al ritorno dal viaggio.
- Sapevi già a chi rivolgerti?
Su dove adottare il gatto non ho mai avuto dubbi: la decisione sarebbe comunque caduta su un gattile perché per me è disumano e inconcepibile pagare per avere una vita. Ci sono tantissimi gatti e altrettanti cani abbandonati che crescono nei gattili e nei canili, all’interno di gabbie al limite della tollerabilità e hanno bisogno di una famiglia che li ami. Per questo tutti gli animali che ho avuto sono sempre stati adottati da gattili. Qualche anno prima che adottassi la mia micia, circa dieci anni fa, vicino a Bologna un signore di nome Cervellati aveva aperto un gattile. Questo signore, che è sempre stato esperto di gatti e amante dei gatti, una volta andato in pensione ha deciso di devolvere gran parte del suo patrimonio per aprire un gattile. Quel luogo è una sorta di paradiso per gatti con spazi immensi in cui sono state collocate casette di legno riscaldate durante l’inverno. Inoltre, è presente l’infermeria dove molti veterinari prestano servizio gratuitamente, affiancando i numerosissimi volontari che rimangono al gattile tutto il giorno. Lui per primo passa le sue intere giornate a prendersi cura dei gatti che sono tutti belli paffuti e liberi di correre in quel grande spazio verde.
- Con Moll è stato amore a prima vista?
In realtà non è stata una decisione in cui ho usato la testa e nemmeno il cuore, è stata una decisione viscerale. Una mattina di ottobre mio padre mi chiamò perché era andato a portare la loro gatta (adottata sempre nel gattile di Cervellati) a fare il vaccino annuale e mi disse che erano arrivati dei cucciolini. Così il pomeriggio mi accompagnò a vederli. Erano tre, erano stati abbandonati, erano piccolissimi, non dovevano avere più di tre settimane e infatti al gattile erano alimentati con il biberon. Io avrei voluto adottare quella che per me era diventata “la gattina senza coda” perché era nata con le vertebre della coda calcificate: le vertebre c’erano tutte, però erano attorcigliate e quindi la sua coda assomigliava a un punto interrogativo. L’ho vista, ho visto il suo musino e nel giro di un nanosecondo ho esclamato: «Io voglio quella senza coda!». Sfortunatamente era già stata prenotata e quindi optai per la sorellina. Siccome è successo tutto molto rapidamente ho detto che sarei andata a prendere la gattina due giorni dopo perché dovevo comunicarlo a Enrico. Appena gliel’ho detto ha sbarrato gli occhi dallo shock e, dal terrore, non ha dormito per due notti. In quei due giorni abbiamo organizzato tutto e predisposto la casa per ospitare il gatto.
Quando siamo tornati al gattile la gattina che era riservata a me non c’era più. Era rimasta soltanto quella senza coda, cioè quella che volevo fin dall’inizio. Siccome sono una persona mediamente onesta ho detto che non era la gattina che dovevo avere io e Cervellati, col suo fare scorbutico, mi ha chiesto se avessi qualche perplessità su di lei. A quelle parole, mentre Enrico mi dava gomitate dicendomi di tacere, mi sono affrettata a rispondere, prima che cambiasse idea, «No, no, assolutamente, va benissimo». Cervellati l’ha visitata, sembrava che stesse bene, ce l’ha data e l’abbiamo portata a casa.
- Com’è andata la prima sera? Enrico alla fine ha vinto le sue paure?
Sapevo che Enrico non voleva gatti e che aveva acconsentito perché io lo desideravo tanto. Aveva però chiesto che ci fossero delle regole rigide e io le avevo accettate perché l’idea era quella di creare una famiglia di cui il gatto facesse parte e cercare di venire incontro un po’ alle esigenze di tutti.
Le regole erano: il gatto non dorme con noi, non sale sul tavolo e non mangia il nostro cibo ma soltanto le sue scatolette.
La prima notte abbiamo chiuso la porta. Essendo cresciuta con i gatti ho imparato che loro diventano praticamente i proprietari della casa, perciò ho detto a Enrico: «Guarda, se non vuoi che il gatto dorma con noi, dobbiamo chiudere la porta e non dobbiamo cedere». Quindi abbiamo chiuso la porta e dopo trenta secondi abbiamo sentito il primo miao, un miao dolcissimo di una micina minuscola tutta “fuffosa”. Poi il secondo miao. Al terzo miao disperato Enrico ha aperto gli occhi e, consapevole di ciò che stava facendo, ha aperto la porta e la gattina ha dormito con noi! E non è finita qui: ho una fotografia del giorno successivo che ritrae Enrico con la micina in braccio mentre le dà un tortellino con la forchetta. Il suo cuore era stato completamente rapito da questa gattina. Abbiamo deciso di chiamarla Moll come la protagonista di un film visto qualche giorno prima perché in mente avevo quel suono che non riuscivo a togliermi. Siccome so che è bene chiamare gli animali con un nome breve perché loro riescono a riconoscere un nome breve, che è più un suono che un nome, avevo optato per Moll.
- Cosa mi racconti del primo periodo con lei?
Abbiamo portato a casa Moll dopo una settimana dalla prima visita in gattile con l’idea di farla vivere un po’ in casa e un po’ fuori, ma prevalentemente in casa perché, nella mia visione di come tenere un animale, il suo benessere deve venire al primo posto e quindi deve stare in sicurezza. Conosco storie di gatti che sono caduti dal quinto piano e sono morti. Oppure storie di gatti che sono stati investiti da una macchina e sono morti. Siccome a Bologna abitiamo in città, anche se in una strada non particolarmente trafficata, non desideravo che uscisse senza essere controllata. Alle finestre abbiamo messo una sorta di zanzariere in modo che possa guardare fuori in estate, perché è una cosa che adora fare, ma in totale sicurezza. Abbiamo fatto lo stesso nel balcone in Italia e in Svizzera. In Italia abitiamo – o meglio abitavamo, perché adesso passiamo la maggior parte del tempo nella casa in Svizzera, anche se torniamo spesso a Bologna – in una casa che ha soltanto tre appartamenti: in uno abita mia zia, in un mio cugino e in uno abitiamo noi all’ultimo piano. Abbiamo un giardino di casa che è protetto e quindi l’idea era di farle fare una passeggiatina nel giardino tutti i giorni in mia presenza. Quando era piccolina abbiamo provato piano piano ma lei era un pochino spaventata: la prima settimana usciva dall’appartamento, faceva 2-3 piani di scale, annusava il pianerottolo e poi tornava indietro.
Non ha fatto in tempo a uscire in giardino che una mattina alle 7, dopo circa una settimana, ci ha telefonato il proprietario del gattile per dire che la sorellina e il fratellino erano morti durante la notte. Ci ha quindi pregati di controllare il gatto perché probabilmente aveva la stessa malattia di cui lui non si era accorto. Quando ce l’aveva data, la gattina era assolutamente sana e io mi sento di fidarmi di lui al 100%.
Era venerdì, sono andata a lavorare, al mio ritorno sembrava che il gatto stesse bene. La notte di venerdì è trascorsa senza problemi. Sabato sera dovevamo andare a cena con amici, io però non mi sentivo tranquilla, sono una persona abbastanza ansiosa anche se in generale cerco di controllarmi mentre mio marito è esattamente l’opposto di me. Quindi lui cercava di tranquillizzarmi mentre io sentivo nelle viscere che c’era qualcosa che non andava. Infatti abbiamo rinunciato alla cena con gli amici e abbiamo portato la gattina a un pronto soccorso veterinario aperto 24 ore su 24 che era vicino a casa nostra. Le hanno trovato un febbrone da cavallo, le hanno fatto le analisi del sangue e una lastra ai reni, abbiamo speso un patrimonio senza che riscontrassero una causa. L’hanno idratata, le hanno dato da mangiare per via endovenosa perché non si alimentava e ci hanno detto che se non l’avessimo portata dal veterinario probabilmente non sarebbe sopravvissuta. La mattina dopo quindi ho deciso di portarla al gattile da Cervellati, persona che cura tutti i gatti che dà in adozione gratuitamente per tutta la vita del gatto, facendo pagare soltanto il costo del prodotto.
Lui, guardandole la bocca, si è accorto che aveva una piccola lesione sulla lingua e ha individuato subito che si trattava di un virus chiamato calicivirus che l’aveva presa in maniera molto pesante. Contro i virus non si può fare niente se non dare degli antipiretici. La gattina non era ancora vaccinata e per poterla vaccinare avremmo dovuto aspettare che guarisse da sola, cosa che sarebbe accaduta solo se il suo sistema immunitario fosse stato sufficientemente forte. L’unica cosa che potevamo fare era tenerla al caldo. Quindi l’abbiamo portata a casa, le abbiamo dato l’antipiretico e delle vitamine con una siringa mettendogliela direttamente in bocca, senza che lei opponesse resistenza. Si sentono storie incredibili sui gatti che, per prendere le medicine, vanno giù di testa. Mai successo con la mia: le facevo vedere la pastiglia o la siringa e lei apriva la bocca e ingoiava tranquillamente.
Il virus l’aveva colpita molto violentemente prendendole tutti gli apparati molli: le piangevano gli occhi e non riusciva a tenerli aperti, era diventata incontinente quindi si faceva tutto addosso. Avevamo deciso di tenerla in bagno e lei si era creata una specie di cuccia dentro al cassetto della carta igienica, forse per sentirsi protetta. Di notte non la lasciavano mai sola, facevamo i turni per dormire con lei e per tenerla al caldo. A volte ci prendevamo dei giorni di ferie per non lasciarla mai sola e, quando non potevamo, venivano i miei genitori. Il tutto è durato 4 mesi!
- In quei 4 mesi (che sono davvero tanti) ti sei mai pentita della tua scelta?
No, non mi sono mai pentita di averla adottata perché per me è stato amore a prima vista. A questo proposito mi viene in mente un episodio accaduto durante il viaggio in India fatto nel 2008: ci dissero che se le anime sono destinate ad incontrarsi vivranno insieme sette vite. Quindi ci piace pensare che noi tre (io, Enrico e Moll) eravamo destinati a incontrarci e siamo destinati a vivere sette vite e ogni tanto ci divertiamo a immaginare che cosa saremo nelle prossime vite. Enrico dice sempre che il motivo per cui ha aspettato tre anni prima di acconsentire a prendere un gatto è perché il nostro gatto, quello che il destino aveva riservato per noi, era Moll ed è una cosa carina perché noi la sentiamo veramente come parte della famiglia.
Non mi sono mai pentita e ho fatto tutto il possibile per lei. Non ho foto di quel periodo, mi rifiutavo di fotografarla perché avevo paura di perderla. Poi finalmente, dopo quattro mesi, a Natale è stata vaccinata ed è diventata il nostro gatto.
- Cosa è successo dopo?
A marzo dell’anno successivo Enrico è partito per la Svizzera per lavoro, io l’ho raggiunto a luglio quando ancora pensavo che dopo un anno sarebbe tornato a Bologna e sono stata un mese in una casa che non è quella dove abitiamo ora. Ho caricato Moll nel trasportino e l’ho portata con me per il primo dei tanti viaggi fatti insieme. Ad agosto Enrico ed io siamo stati cinque settimane negli Stati Uniti e abbiamo portato la gattina dai miei genitori. Poi è arrivata l’offerta da parte della Svizzera e abbiamo deciso che per Enrico fosse un’opportunità molto importante, quindi lui è rimasto in Svizzera e io l’ho raggiunto a giugno dell’anno successivo. Per un anno sono rimasta da sola a Bologna con Moll, dove ho provato a farla uscire e piano piano con me usciva, faceva il suo giretto nel giardino ma sempre sotto i miei occhi, se non uscivo con lei, lei non voleva uscire. Quando voleva uscire si metteva davanti alla porta, mi guardava, io capivo che aveva voglia di fare la sua passeggiatina. Quindi la scelta di farla o non farla vivere fuori non è stata una vera e propria scelta, ho cercato di capire cosa Moll volesse davvero fare. Credo che tutti gli animali abbiano la loro indole, un po’ come le persone, e penso davvero che lei probabilmente sarebbe stata affettuosa anche se non avesse avuto quella malattia, che tuttavia l’ha resa ancora più affettuosa e legata a noi.
In Svizzera viviamo in un appartamento un po’ particolare perché Losanna è costruita tutta in discesa: abitiamo al primo piano però il nostro balcone ha cinque scalini che arrivano in strada. La nostra non è una strada molto trafficata quindi l’idea che lei uscisse un po’ ci piaceva, anche perché nel palazzo abbiamo un giardino. Purtroppo, però, ci sono tanti bambini che le tirano la coda, le tirano le zampe e lei non ha un buon rapporto con i bambini, quindi preferisce stare sul balcone e ogni tanto fare una passeggiatina con me.
Questo fino a circa tre anni fa! Era un sabato sera di ottobre, si stava ancora bene fuori, Enrico ed io abbiamo fatto un aperitivo sul balcone guardando il tramonto. Moll era con noi e quando siamo rientrati, convinti che lei fosse tornata in casa come fa di solito quando ci vede rientrare, abbiamo chiuso le finestre e siamo andati a dormire. L’indomani mattina, essendo domenica, ci siamo svegliati tardi e, non vedendola, l’abbiamo cercata per un’ora senza trovarla. Ci era venuto il dubbio di averla lasciata fuori! E infatti era andata proprio così. Lei aveva trovato rifugio nella finestra della cantina sotto al nostro balcone, dove c’è una specie di nicchia protetta dalle scale, si era nascosta lì ed era assolutamente invisibile. Durante la notte era piovuto e le temperature erano crollate passando da 20 a 5 gradi. Io ho provato a immaginare dove poteva essere, ho guardato questa finestrella e l’ho chiamata. Lei ha riconosciuto la mia voce ed è spuntata con il musino, allora mi sono seduta, ho cominciato a parlarle, piano piano è uscita, mi è venuta in braccio, stava tremando, era bagnata, sporca, terrorizzata. L’abbiamo portata in casa, l’abbiamo pulita e da quel momento, tutte le volte che apriamo la finestra per farla uscire, scappa e si nasconde sotto il letto. Quindi per il momento lei si limita a guardare fuori stando sulle finestre sempre in protezione, ma non mostra alcun desiderio di uscire di casa. Noi assecondiamo questo suo desiderio sperando di interpretarlo correttamente. Un po’ mi sento in colpa perché so che comunque un gatto ha un istinto selvatico molto marcato, però la sua storia è molto particolare ed evidentemente lei è contenta così.
- Tutto considerato, come definiresti la sua vita: appagante, serena…?
Come definirei la sua vita? Forse appagante non è un aggettivo che utilizzerei per descrivere la vita di un animale perché non credo che gli animali abbiano una coscienza tale per potere elaborare questo tipo di concetto. Penso che il mio sia un gatto sereno, tranquillo, felice perché non dimostra nessun tipo di stress, si addormenta profondamente, non ha paura dei predatori, si fa coccolare, si lecca, dorme, non ha paura delle persone anche se non dimostra particolare interessa verso gli estranei. Manifesta affetto soltanto nei nostri confronti e un po’ nei confronti dei miei genitori. Ha paura di uscire da quando ha vissuto quell’esperienza. Io ho provato a farla uscire senza però lasciarle mai la libertà di essere un gatto che vive all’aperto anche perché, vivendo in città, non volevo che venisse investita da un’auto: per me la priorità è veramente tenerla in sicurezza e farla vivere il più a lungo possibile e nel modo più felice possibile.
- Tu viaggi molto (Svizzera-Italia, ma non solo), come riesci a conciliare tutto ciò con le esigenze della micia?
Per quel che riguarda gli spostamenti avanti e indietro io vivo il mio gatto come parte della nostra famiglia e, in una famiglia, secondo me tutti devono un po’ adattarsi alle esigenze degli altri. Per seguire il sogno di Enrico io mi sono adattata a un Paese come la Svizzera che non è affatto il mio habitat naturale perché amo i posti caldi, eppure sono riuscita con tanta forza di volontà a costruire un’attività lavorativa felice, una carriera più che appagante perché lavoro per l’Università di Losanna. Inoltre, ho fondato una scuola di lingue che mi dà enormi soddisfazioni. Quanto a Moll, cerchiamo di fare tutto il possibile per farla stare bene, però anche lei si è dovuta adeguare al nostro stile di vita, così come io mi sono adeguata alle esigenze di Enrico e alle sue trasferte e lui si è adeguato a me, ossia a una donna che non fa la spesa, non ama cucinare, a volte ha bisogno di andare a Bologna e restarci da sola, quindi a questo mio spirito felino e un po’ libero. Secondo me abbiamo creato insieme uno stile di vita che va bene per tutti, siamo tutti contenti anche se a volte dobbiamo accettare qualche compromesso. Lei in treno sta bene, in macchina un po’ meno perché verso la fine delle cinque ore comincia a miagolare e quindi dimostra molto chiaramente che non è contenta e non vede l’ora di arrivare. Però siamo una famiglia e in una famiglia bisogna cercare di accontentare tutti. Io spero sinceramente che la sua sia una vita felice e serena, tutto quello che lei fa e il suo comportamento lo dimostrano.
Intervista rilasciata da Martina Tassini.